Il diritto allo studio per riconoscere a tutti una pari dignità
Il diritto allo studio, nel nostro paese, non è (ancora) per tutti: gli studenti con disabilità nelle nostre Università, secondo gli ultimi dati, sono 36 mila, vale a dire meno di 1 su 100. Ed’è ancora peggio per le persone con disabilità che possono svolgere attività di ricerca post lauream: sono meno di 500. Ancora troppo pochi, considerando che secondo gli ultimi dati, le persone con varie forme di disabilità sarebbero almeno 7 milioni. Questo dato ce lo conferma l’Anvur, l’Agenzia di valutazione del sistema universitario e ricerca: più di un terzo delle famiglie italiane ha legami con persone che soffrono di varie forme di disabilità.
La strada per garantire l’accesso all’Università rimane ancora lunga, anche se sono stati fatti passi in avanti. Secondo un rapporto Disabilità, Dsa e accesso alla formazione universitaria presentato dall’Anvur e dalla Cnudd, (Conferenza nazionale universitaria delegati per la disabilità), emerge un quadro per alcuni versi confortante, per altri molto meno: su 90 università italiane, 86 assicurano accesso e servizi alle persone con disabilità. Il 77% offre servizi di orientamento specifico prima, durante e dopo gli studi, mentre il 69% mette a disposizione servizi di supporto come il tutoraggio specializzato o materiale didattico digitale.
Ma poi arrivano le note dolenti. Solo il 28% degli atenei italiani offre servizi di trasporto da e per il domicilio e gli stessi problemi si riscontrano nell’accesso a una casa per studenti con disabilità fuori sede: sono questi i principali aspetti da migliorare perché su 36.816 studenti con disabilità, 17 mila hanno una invalidità superiore al 66% e 16 mila soffrono di forme di disturbi di apprendimento come dislessia, autismo, disgrafia e disturbi neurologici.
Integrare le persone con disabilità è una grande sfida, che può essere vinta puntando sulla competenza e sulla cooperazione. A scuola, prima che altrove, occorre formare alle differenze, accogliendole come eterogeneità, attivando percorsi inclusivi intesi come disponibilità. Non basta integrare le diversità. Non si tratta, cioè, di creare condizioni di normalizzazione; occorre invece fare spazio alla ricchezza della differenza, adeguando il noto, gli ambienti, la prassi, di volta in volta, in base ad ogni specifica singolarità. La normalità deve dunque divenire metamorfosi costante. Per fare ciò, però, occorrono competenze diffuse, in continua formazione, in dialogo continuo con le famiglie.
Se vogliamo essere coerenti tra le nostre politiche per garantire una vita dignitosa per tutti in ogni dove, di fronte alla sfida epocale dell’inclusione sociale, è necessario che l’Italia si doti di una legge sull’equiparazione degli infortuni nella vita con gli infortuni sul lavoro – (clicca qui per leggere il testo della Proposta) – insieme a una rafforzata concertazione volta a migliorare la qualità della vita nella direzione indicata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Il diritto allo studio è fondamentale e auspico rientrerà nell’agenda del prossimo Governo perché disabilità e inclusione sociale sono un tema trasversale.
Salvatore Cimmino
Sempre al massimo una nota di merito per la tua costanza.