La disabilità non è un limite, se mi ami costringimi a cambiare
Secondo gli ultimi dati dell’OMS, (Organizzazione Mondiale della Sanità), il numero di persone con disabilità oggi ha superato il miliardo e, a causa di molteplici e diversi fattori quali l’inquinamento, l’insorgenza di patologie gravi, incidenti stradali e sul lavoro con esiti fortemente invalidanti, nei prossimi anni è destinato a crescere vertiginosamente. Si tratta di persone che vivono quotidianamente enormi difficoltà nell’accedere a settori vitali come l’istruzione, le cure, il lavoro, la politica, la partecipazione attiva agli eventi della società.
Questa realtà deve costringere il nostro Paese ad affrontare il tema della disabilità con spirito nuovo e costruttivo, individuando e quindi mettendo in campo politiche e strategie che operino su due fronti: da una parte è necessario che i progressi derivanti dalla ricerca scientifica siano resi disponibili a tutta la cittadinanza, e quindi le cure, gli ausili e i presidi tecnologici di ultima generazione devono poter essere fruiti da chiunque ne abbia necessità; dall’altra parte è necessario insistere sul tema della Progettazione Universale, che significa semplicemente progettare le realtà tenendo conto delle abilità di tutti. È ormai indispensabile immaginare un modo di progettare che vada oltre il concetto di superamento delle barriere architettoniche e metta al centro del progetto le persone con le loro caratteristiche. Significa pensare gli ambienti in termini di maggiore fruibilità senza mai dimenticare la stretta correlazione tra il contesto socio-ambientale e la qualità della vita di chi in quel contesto ci abita. E voglio insistere su un punto a mio avviso fondamentale e cioè che prima ancora di essere una questione puramente tecnica è un problema di diritti umani e di cittadinanza di bambini, adulti e anziani; di donne e di uomini; di persone basse e persone alte; di chi usa la carrozzina, di chi spinge un passeggino, di chi usa i tutori, di chi si sposta col cane guida o col bastone, di chi è obeso, di chi ha problemi cardiaci, di chi ha problemi di udito… di tutte le persone quindi, qualunque sia la loro “diversità”.
Il punto da cui parto quando affronto questo discorso non è semplice, non voglio cioè semplicemente sottolineare l’esigenza, per le persone con disabilità, di potersi muovere liberamente e in maniera per quanto possibile autonoma, voglio invece sottolineare, e scusate se mi ripeto, che la libertà di movimento, la possibilità di poter vivere agevolmente gli spazi, l’accessibilità dei servizi, dei cinema, dei teatri, dei musei, dei negozi, la percorribilità delle strade e dei marciapiedi, significano banalmente vita.
E c’è un altro aspetto molto importante che a mio parere non viene sufficientemente sottolineato: l’integrazione delle persone con disabilità a pieno titolo nella società comporta vantaggi enormi non solo dal punto di vista di conquista di civiltà, che non fa mai male, naturalmente, ma addirittura dal punto di vista economico. Le persone con disabilità, al pari di tutte le altre, sono consumatori e utenti e credo che siano molti gli spazi di mercato che potrebbero trarre vantaggi dall’ampliare il loro raggio di azione. Faccio solo l’esempio dei PEBA, i progetti di accessibilità delle spiagge del nostro Paese perché insieme all’Associazione Luca Coscioni ci ha visto molto impegnati nell’ultimo periodo. Immaginate quante persone in più potrebbero diventare ospiti delle località balneari una volta rese accessibili. Si tratta di sviluppo economico etico e qualificato. E si tratta di un ulteriore passo in avanti nella direzione dell’integrazione.
Per non parlare poi della ricerca scientifica che, resa accessibile nei suoi risultati, potrebbe comportare uno sviluppo straordinario di tutto un importante settore dell’industria.
La storia dell’umanità ha fatto giganteschi passi in avanti: l’identità sociale della persona con disabilità nel corso dei secoli è stata oggetto di alterni destini, che si sono concretizzati, spesso, in epiteti denigratori: da castigo degli dei presso la civiltà greco-romana ad espressione di forze malefiche e diaboliche nel medioevo, da malato incurabile nell’Ottocento, a vita che non merita di vivere durante il nazismo fino a diversamente abile nella società odierna. Definizione quest’ultima ipocrita al pari di quelle precedenti, e anche se non disumana comunque, a mio avviso, categorizzante. Si deve arrivare ad anni molto prossimi a noi, il 2006, per vedere riconosciuta la relazione tra persona con disabilità e ambiente e per vedere finalmente sanciti i diritti delle persone con disabilità che fino a quel momento erano inquadrate all’interno del modello sanitario solo come persone malate e bisognevoli di cure e attenzioni, quindi come soggetti passivi e non attivi. Il passaggio fondamentale che ha segnato il processo dal sanitario al sociale è stata la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Adesso è necessario andare ancora più avanti. Perché gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 e della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità vengano rispettati è fondamentale allargare lo sguardo, lottare per favorire la pace nel mondo, per realizzare una crescita sostenibile, per favorire la coesione sociale. Gli uomini e le donne, tutti gli uomini e tutte le donne, i bambini, tutti i bambini, senza distinzione, devono essere tutelati e rispettati sempre e a loro deve essere garantita la possibilità di crescere e vivere nel migliore dei mondi possibile.
Parlo di allargare lo sguardo e non posso non pensare a un Paese che ormai è entrato stabilmente nel mio cuore, la Repubblica Democratica del Congo. Le persone con disabilità della regione del Kivu, che è la zona che ho frequentato e a cui sono particolarmente legato, non sono supportati da nessuna legge in materia, subiscono continue discriminazioni, non hanno alcuna possibilità di movimento, non dispongono neanche degli ausili più elementari come una rudimentale stampella, le ragazze poi, soprattutto se con disabilità, vengono sistematicamente umiliate e violentate. È anche per loro che ormai da anni nuoto in giro per il modo, per riuscire anche se in minima parte a contribuire al loro benessere. Si tratta di bambini meravigliosi, di donne coraggiose, di uomini umiliati che non hanno nulla e hanno quindi bisogno di tutto. In questi contesti una disabilità significa davvero una condanna definitiva. Alcune cose per loro, grazie soprattutto all’aiuto fondamentale della Cooperazione Italiana, siamo riusciti a farle ma ovviamente si tratta della famosa goccia nell’oceano e la strada è ancora talmente lunga che non si individua la fine.
Sarebbero tante altre le cose di dire, i progetti di cui parlare, le persone da ringraziare. Ogni volta che faccio un intervento mi rendo conto di quanto poco riesco ad esprimere e di quante cose invece sarebbe necessario parlare. Oggi qui sono presenti autorevolissime personalità, certo molto più competenti e decisive di quanto potrò mai essere io in questo campo. Per me è importante portare la mia testimonianza, la mia voglia di fare e di impegnarmi. Sono certo di una cosa, quando una persona con disabilità ha la possibilità di condividere le sue capacità e le sue potenzialità allora, come nelle più bella delle favole, barriere e pregiudizi si sciolgono come neve al sole. Perché dobbiamo capire, finalmente, che la diversità è la stella intorno alla quale ruota l’universo umano.
Un forte abbraccio,
Salvatore Cimmino