Il valore sociale della disabilità
Non è molto utile conoscere la legge, se non si sa nulla delle persone per le quali la legge è stata emanata. Aldilà delle diversità rimane la comune appartenenza all’umanità, il comune possesso della dignità di persona umana. A questa dignità occorre guardare, quando si entra in rapporto con qualunque diversità.
La disabilità risiede nella società e non nella persona: quando la società crea ostacoli allo svolgimento delle normali attività quotidiane, si prefigura nella collettività il concetto distorto di disabilità in quanto è originata, proprio, dal contesto e non dalla persona. Il livello di disabilità crea isolamento e, di conseguenza emarginazione. Solo un’esperienza di vita condivisa, di concerto con il tema dell’accessibilità, può creare le condizioni di un corretto inserimento della persona nel tessuto sociale, lavorativo e culturale. Vivo con una disabilità dall’età di 14 anni e nel corso della mia esistenza, fino ad oggi che di anni ne ho quasi 54, ho naturalmente avuto, come tutti, alti e bassi. Ma il problema in più, com’è ovvio, è stato sempre rappresentato dalle condizioni di partenza. Io credo che una società, per dirsi civile, debba porsi come obiettivo principale il benessere delle persone che ne fanno parte, valutandone i bisogni e accogliendone le esigenze fondamentali. Ma il processo che io intendo è un processo, essenzialmente culturale.
Questo processo deve aiutare a comprendere ed ad avvalorare il fatto che la persona con disabilità non è una spesa che grava sul bilancio della comunità, ma una mano da stringere, una sfida che la Scienza deve raccogliere; investire sulla persona con disabilità può creare ricchezza perché un tessuto sociale coeso rappresenta la condizione fondamentale e indispensabile per generare risorse economiche e superare le disuguaglianze. Il tessuto sociale di cui parlo, e che auspico, considera i traguardi raggiunti dalla ricerca e dalla potenza delle tecnologie non dal punto di vista esclusivamente economico, di arricchimento, ma come lo strumento capace di migliorare la qualità della vita del non vedente, dell’amputato, del non udente, grazie a protesi e apparecchi digitali di nuova generazione.
L’unico modo, io credo, di emergere e rendere visibile la propria esistenza è quella di rappresentare la diversità e quindi la disabilità come valore aggiunto, come una risorsa, e questo rappresenta, io credo, l’unica chiave di volta in grado di imprimere un cambiamento culturale al Paese. Se siamo convinti, come io ho ormai imparato, che nella diversità risieda un opportunità di arricchimento e di crescita per tutti, è necessario che si avvii un processo educativo condiviso dalle scuole e dalle famiglie, che sono i luoghi di sviluppo e crescita dei nostri ragazzi, così da creare una nuova generazione capace di accoglienza, solidarietà e inclusione vere.
Porto avanti il mio progetto, nelle modalità attraverso le quali riesco meglio ad esprimermi, proprio per sfidare l’opacità di un mondo che fatica ad accogliere ed integrare una persona con disabilità rendendo incerti e precari i percorsi di insegnamento, di formazione e di riabilitazione: l’accettazione non può limitarsi al suo aspetto passivo, deve diventare attiva e partecipe dei progressi della persona che vive con una disabilità. L’accettazione deve diventare ricerca di tutti i mezzi per ridurre lo svantaggio iniziale. L’obbiettivo è quello di rendere la vita degna di questo nome, da svolgere autonomamente anche attraverso un lavoro produttivo rendendosi utile a se stesso e agli altri. Non dobbiamo rassegnarci, ma dobbiamo offrire tutti i mezzi possibili per aiutare a colmare i ritardi di partenza. Occorre considerare i punti di partenza non come un limite invalicabile ma come una difficoltà con cui fare i conti. Non dobbiamo accettare e rassegnarci a qualsiasi tipo di handicap ma dobbiamo salvare le persone da un’esistenza condannata all’emarginazione. Dobbiamo cambiare le condizioni di partenza affinchè le persone possono condurre una vita normale. Possono esercitare i propri diritti e contribuire alla crescita e allo sviluppo della società. Il patrimonio tecnologico, quando è fruibile, contribuisce a trasformare la persona da individuo passivo a individuo attivo nella società.
Oggi le persone, grazie anche alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, non vengono più giudicate in base alla loro sindrome o al loro aspetto e nemmeno per le loro prestazioni. Sono presi in considerazione per il loro potenziale. Questo diventa possibile quando si rendono esigibili le norme vigenti e soprattutto con l’aiuto di tutte le persone coinvolte nella vita di quella persona.
Secondo Reuven Feuerstein gli esseri umani sono modificabili, cioè sono soggetti ad essere significativamente modificati da un intervento affettivo-educativo da parte di altri esseri umani come mediatori: non esistono confini prestabiliti, vale la pena di tentare, nessuna persona deve essere limitata e definita dall’etichetta che gli è stata imposta e nemmeno della diagnosi che gli è stata fatta.
C’è molto lavoro da fare ma sono convinto che, come in tutte le cose, solo camminando insieme diventa possibile quello che fino a un attimo prima sembrava impossibile.
Abbiamo tutti da imparare l’uno dall’altro, ognuno di noi è in grado di dare qualcosa per milgiorare l’esistenza dell’altro. Il valore sociale della disabilità, secondo me, risiede esattamente in questo: superare il mito dell’efficenza, del rendimento a tutti i costi e dell’individualismo sfrenato per accogliere il piacere della condivisione delle mete e degli obiettivi, la gioia di una vittoria frutto di scambi e collaborazione.
Salvatore Cimmino
Ritengo che ‘la cartina di tornasole’ che ci dice se siamo disposti ad accettare o meno la disabilità ci venga data proprio nella malattia , nella limitazione del nostro essere .È lì che vedi se sei capace di dare tutto. SE non è così devi imboccare un altro sentiero.